Si è da poco conclusa la seconda edizione del Festival del Classico,
un viaggio attraverso i tempi e i modi della verità;
la ricerca di quest’ultima continua ad avere molti paladini: sono accorsi in migliaia al suo richiamo e la seconda edizione del Festival si è tramutata in un’impresa, come quelle nobili dei cavalieri di un tempo; ha coinvolto relatori e pubblico.
Quattro giorni avvincenti, giorni di esplorazioni, e l’invito a non sospendere mai le ricerche, a proseguire nell’interrogazione radicale di se stessi.
Luciano Canfora, presidente della manifestazione, ha dichiarato:
«Non so quanto possa incidere sul tessuto civile il “Festival della cultura classica”, ma certo vien da pensare che, in momenti in cui reticenze e ambiguità dominano la parola politica, un’intera tornata di studi e di letture pubbliche intorno al nesso verità/libertà è salutare. La cultura moderna porta dentro di sé quella antica – nel senso drammatico della consapevolezza del costante riproporsi, in noi, di dilemmi etico-politici, religiosi e scientifici che quel mondo seppe impostare».
«C’è stata una grande risposta del pubblico, un pubblico coinvolto, attento, stimolato da un tema alto di cui si avvertiva il bisogno – ha commentato Ugo Cardinale, curatore della rassegna – Torino si è rivelata una città d’avanguardia, capace di offrire un ruolo attivo a tutte le generazioni. Il successo è stato certamente merito della macchina organizzativa, efficiente e impegnata in un’impresa corale».
Otto location: tre sale al Circolo, l’Aula Magna della Cavallerizza Reale, Il Teatro Carignano, la Sala dei Mappamondi all’Accademia delle Scienze e la Sala Codici al Museo del Risorgimento, la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino.
Record di affluenza per gli incontri con: Lella Costa, Umberto Galimberti, Bruno Centrone e Piergiorgio Odifreddi.
Ma di cosa è fatta questa verità che rende liberi? Perché è così difficile trovarla, riconoscerla, dimostrarla, e quali identità assume nei diversi contesti in cui opera?
Una prima risposta è arrivata graieri al Torneo di disputa classica, dal suggestivo sottotitolo Antiche lezioni per moderni dilemmi.
Argomento del dibattito: la verità è assoluta?
I vincitori hanno sostenuto la tesi contraria e per difenderla hanno argomentato attingendo dal pensiero antico e dalla filosofia contemporanea. Per Canfora, il pericolo più immediato ed evidente è quello del “falsovero”, verità che sono tali sono in apparenza e la cui verosimiglianza impedisce di intuire il camuffamento; di questi strumenti si serve il potere, per precludere l’accesso a ciò che è vero. Secondo Massimo Cacciari il problema nasce dal carattere delle verità che muovono l’agire: a differenza della scienza che poggia su assiomi e teoremi vincolanti per tutti, la politica si muove nell’indefinito della retorica, della contraddittorietà, sfruttando tale condizione come alibi per non dover rendere conto ai cittadini: occorre ripensare questa pratica, avere il coraggio di definire valori, limiti e obiettivi, e riunificare la cultura umanistica e quella scientifica riconoscendone finalmente lo statuto comune.
Recuperare le parole che stiamo smettendo di usare per salvarle dall’oblio è stato l’invito di Massimo Arcangeli, mentre una nuova consapevolezza circa l’origine e il significato autentico della parole che usiamo è stato l’appello di Gian Luigi Beccaria, che partendo dal retaggio classico della nostra lingua ha svelato i retroscena etimologici di termini come “fede” e “tradire”, rispettivamente “impegno” e “consegnare”, mostrando le conseguenze fattuali e storiche del prenderli alla lettera o del fraintenderli. Diverso ancora il monito arrivato da Salvatore Natoli: certo, dire la verità significa dire le cose come stanno, ma per farlo occorre capire effettivamente cosa significhi questo loro stare così o altrimenti; da tale difficoltà ontologica discendono le tante definizioni di verità succedutesi nel tempo – disvelamento, corrispondenza, interpretazione, esperienza, dimostrazione. Su quella che sembra un’impresa impari e dai risvolti tipici della tragedia, si è invece accesa la luce rischiaratrice della commedia grazie a Lella Costa e al suo reading di commedie classiche: la verità, in questo caso, è quella che i potenti non vogliono ascoltare, che scaturisce dalle vicissitudini quotidiane e dalla saggezza pratica delle donne, esperte di pazienza e dissimulazione, amministrazione e compromesso, le uniche in grado di smascherare le mezze verità gonfiate sino a diventare menzogne, e riconciliare le fratture aperte dalla hỳbris degli uomini.
Un altro volto ancora della verità è stato ritratto da Federico Condello e Valerio Magrelli, quello del vero nella poesia: i versi ci parlano come una voce che fa appello alla coscienza e che attraverso metriche, figure e accenti diversi riporta sempre alle questioni fondamentali, agli interrogativi che dominano la nostra esistenza. Una narrazione diversa, mitica, è stata poi proposta ai più piccoli da Merende Selvagge, che ha fatto riascoltare gli echi delle storie omeriche. La forza del concetto di verità supera le sue molte declinazioni: questo il messaggio trasmesso da Franca D’Agostini e Maurizio Ferrera, secondo i quali l’odierna degenerazione della democrazia in “teatrocrazia”, in messa in scena del “creduto vero”, dipende dalla nostra mancata comprensione e quindi sottovalutazione dell’idea stessa di “verità”, delle sue implicazioni vincolanti, per cui le forme che poi essa assume – opinioni e credenze – appaiono come il vero problema non essendone, invece, che un mero effetto. E una sorta di fraintendimento radicale è anche alla base, secondo Maurizio Bettini, del declino del nostro senso di umanità: abbiamo dimenticato cosa significhi essere umani, qual è l’origine di quei diritti fondamentali che dovremmo riconoscere a tutti e che invece, dall’antichità ad oggi, ancora hanno bisogno di essere riscoperti e difesi.
Un analogo richiamo alla classicità è arrivato da Ivano Dionigi, perché l’educazione alla verità, cioè il coraggio di osare sapere, finanche ciò che più ci turba, mette al riparo dalle spiegazioni troppo riduttive, dalle finte verità consolatorie; è qualcosa che il pensiero umanistico e classico impartivano con regolarità e che oggi è quanto mai indispensabile per essere attori e non solo spettatori di sfide e rivoluzioni.
Deformazioni ideologiche e falsificazioni delle verità storiche sono i “mostri” contro i quali hanno messo in guardia Gino Bandelli, Giovanni Brizzi e Sergio Roda, mentre per Adriana Cavarero, Valentina Moro e Giorgio Ieranò le inside maggiori arrivano dalla malia del linguaggio, quel potere persuasivo messo in scena ad esempio dalle tragedie di Sofocle e che oggi come ieri dimostra la natura duplice – affascinante e terribile – della retorica.
Umberto Galimberti si è soffermato invece sui mutamenti della verità, prima come oggetto solo della mente, con la relativa condanna della corporeità, poi come frutto dell’esperienza e, infine nell’era della tecnica: inevitabile il rischio di tramutare un semplice strumento in nuova visione del mondo, una verità disumana e inappellabile. Un po’ come le verità scientifiche, che non sono però una condanna bensì una liberazione, un trampolino verso il progresso: questa è la giusta prospettiva da cui guardare, secondo Piergiorgio Odifreddi, Bruno Centrone e Giuseppe Cambiano, che partendo da Pitagora, hanno ricostruito le tappe dello sviluppo scientifico e culturale dalle origini sino a noi. Uno sguardo all’Ellade e alla sua mitologia per comprendere l’autentico significato dell’essere stranieri e, quindi, dell’ospitalità: Maurizio Bettini, Luciano Canfora, Raffaele Simone e Armando Spataro hanno tratteggiato la parabola dell’accoglienza da Odisseo a Farage districando le ambivalenze di quella radice etimologica affine a ospite e nemico (hospes e hostis) responsabile di innumerevoli mistificazioni, travisamenti e, inevitabilmente, conflitti.
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Il Festival del Classico, progetto della Fondazione Circolo dei lettori, sostenuto da Regione Piemonte e Fondazione CRT, presieduto da Luciano Canfora, diretto da Maurizia Rebola e curato da Ugo Cardinale e Massimo Arcangeli. Patrocinio della Città di Torino e dell’Università degli Studi di Torino, in collaborazione con Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Accademia delle Scienze di Torino, Dibattito e Cittadinanza Rete del Piemonte, Rete Nazionale dei Licei Classici, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte e Cirst – Centro Interuniversitario di Ricerca Studi sulla Tradizione. Media partner La Stampa.
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