Un uomo vestito di bianco

“Buongiorno, sono la giornalista che la intervisterà. Voglio essere onesta: non ho mai visto nessuno dei suoi film di maggior successo”.

In questo modo è iniziata una lunga chiacchierata, la prima volta che ho incontrato Paolo Villaggio.

Ho scelto di essere sincera, e lui ha replicato accennando una risata e dicendomi che se lo avessi preferito, avrei potuto ‘dargli del tu’.

Una rovente giornata d’estate di qualche anno fa, la location, l’Hotel Excelsior di Venezia, i giorni, quelli scintillanti e ricchi di eventi del Festival d’Arte Cinematografica.

Lui era vestito completamente di bianco. Come un santone. Come un profeta.

Senza volermi giustificare, solo per chiarire la situazione, certa della sua intelligenza, gli spiegai che da una parte, mio padre mi aveva cresciuto a pane, Quark, Piero e Alberto Angela, Gramsci e Montanelli; i suoi preferiti, i programmi scientifici, divulgativi, quelli di approfondimento, la vecchia Rai 3, e molti, molti libri.

Alcuni film: Totò, Scola, Comencini, Benigni, Corbucci, Fellini, Visconti, Germi, Rossellini, Monicelli, Risi, Pasolini, De Sica. I Maestri del nostro cinema.

(Per intenderci, oggi, l’uomo che mi ha dato i natali, è il perfetto ‘Uomo Focus’);

dall’altra parte, mia madre: contribuiva a formare una diversa me, coinvolgendomi giorno dopo giorno, in quello che era un vero e proprio cineforum familiare

– film solitamente in bianco e nero, spesso francesi, quasi sempre sentimentali. 

Non si disdegnava la commedia nostrana, Troisi e i capolavori internazionali, da Allen a Cassavetes.

Tra questi diversi fuochi, c’ero io, che sviluppavo una sempre più definita ‘coscienza cultural-emotiva’.

Ribelle, cercavo di ritagliarmi spazi di ‘indipendenza visiva’ ma fatta eccezione per qualche serie americana, qualche programma legato alla moda e al lifestyle, che facevano storcere il naso al mio papà  e consequenzialmente, cambiare canale a me (non così rivoluzionaria quanto volessi far intendere, perchè consapevole, in fondo, del fatto che gli strumenti di comprensione del mondo che mi venivano trasmessi, fossero validi) mi ritrovavo a seguire i due filoni genitoriali.

In giro, la gente faceva riferimento alla spassosa saga di ampio successo del ragionier Fantozzi, saga che era entrata a far parte della cultura di massa degli italiani.

Un paio di volte, provai ad avvicinarmi alla materia.

Non trovai quei film divertenti, tutt’altro: il protagonista di tante disavventure, provocava alla sottoscritta gran tristezza.

– La comicità paradossale e grottesca non era adatta a me. 

Sentenziai.

Così, posi fine al tentativo fatto e decisi di procedere per la via maestra che mi era stata indicata in famiglia.

Da quel momento in poi, se nel mio zapping inceppavo in qualche film con protagonista il ragionier F., cambiavo canale.

Anni dopo, mi sono ritrovata, dicevo, ad intervistare proprio l’uomo che dava volto e voce al tanto bistrattato Ugo Fantozzi.

Prima del nostro appuntamento, ho studiato la storia, il percorso fatto, ho tentato nuovamente di guardare spezzoni dei film più noti, e per quanto l’essere umano Villaggio mi incuriosisse: attore, comico, editorialista, scrittore satirico, sceneggiatore e doppiatore, anche in quell’occasione, non sono riuscita a seguire con attenzione più di qualche minuto di girato.

L’intervista: un dialogo schietto – credo lo abbiate intuito dall’estratto video che ho montato per l’amara occasione.

Ora Paolo Villaggio non è più tra noi, e, in questi momenti nei quali i media ripropongono i prodotti cinematografici che gli hanno conferito popolarità, mi sono ripromessa di guardare, cascasse il mondo, un intero episodio della serie.

Ebbene l’ho fatto.

O quasi… insomma, il fim era in proiezione nella stessa stanza dove ero io, ma… son bastati pochi attimi… poi, ho preparato la pastella per i gamberi fritti che avevo intenzione di cucinare, ho letto alcune mail e risposto a un po’ di messaggi, ho dato un ultimo sguardo all’articolo da inviare ad una delle redazioni con le quali collaboro, e ho messo qualche capo nel carrello virtuale del mio e-shop preferito. 

Devo aver fatto anche altre attività che al momento non mi sovvengono, perchè il tempo è passato in fretta. 

Di tanto in tanto, ho buttato un occhio allo schermo, ripetendomi che non c’era niente da fare: il famoso disgraziato, continuava a suscitarmi gli stessi sentimenti di un tempo. 

Non nascondo di aver tirato un sospiro di sollievo nel veder scorrere i titoli di coda.

Il film era finito, ed io avevo tenuto fede all’impegno preso con me stessa. 

Più o meno.

Soprattutto dopo averlo conosciuto, posso dire che è una grave perdita il fatto che l’uomo, Paolo, Leone d’oro alla carriera nel 1992, Pardo d’onore a Locarno nel 2000, David di Donatello nel 2009, non ci sia più, e all’ennesimo tentativo fatto, posso al contempo confermare che no, i film legati a Fantozzi non erano buffi, ma desolanti, nonostante l’importante aspetto sociologico celato dalla pellicola.

Il lavoro che preferisco di Villaggio si è rivelato, nel tempo, legato ai ruoli magistralmente interpretati a teatro (era un bravissimo attore) e in alcuni film di registi impegnati, registi dei quali scrivevo: Fellini, Monicelli, Olmi.

A mio parere. 

Si intende.

Senza peli sulla lingua.

Senza maschere di sorta.

Lo stile che ricordo, avevi apprezzato.

Buon viaggio Paolo!

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