Il mondo della cultura è in lutto.
Umberto Eco, figura di prestigio, ha esalato il suo ultimo respiro.
Studioso precoce, formidabile accademico, conosceva l’importanza della didattica.
Penna brillante, chiara e rigorosa;
si è occupato di semiologia, ma anche di Mike Bongiorno.
Ha firmato una mole di opere, e ha dato alla luce un manuale,
un volumetto sul come si faccia una tesi di laurea, dimostrando l’amore per il ruolo di Professore.
In un certo senso, ha creato il Dams di Bologna.
Ha fatto tutto questo, e molto di più, grazie alla sua preparazione,
una preparazione a 360 gradi.
Ha difeso l’onore dell’Italia, incidendo sulla realtà internazionale, portando il nostro Paese nel mondo.
Affermava che il bello fosse prevedibile:
“La bellezza si sa dove va a parare, il modello di bellezza classico è il greco, invece la bruttezza ha modelli infiniti, per il brutto non c’è regola, sono infinite le variazioni del brutto, e cosa non dice Boccaccio, sulla bruttezza delle donne, per esempio..”.
Saggista e romanziere, profondo conoscitore dei meccanismi della comunicazione: si rivolgeva ai personaggi della “cultura alta”, così come ai suoi studenti, utilizzando codici ed espressioni comprensibili ai più.
Straordinario linguista, editore, persino archivista,
possedeva 50 mila libri, tra questi, il rarissimo “Sogno di Polifilo”, probabilmente il libro più bello del mondo, stampato nel 1449 a Venezia.
Un Maestro allegro, che aveva il gusto della risata, amava le barzellette e raccontava aneddoti,
un uomo divertente, gioioso, sapiente e ironico:
“Noi ridiamo perchè sappiamo di essere mortali,
ridere ci salva dalla disperazione”.
Ha marcato la differenza tra cultura di massa e cultura di proposta;
antiberlusconiano – inteso Berlusconi come simbolo di una realtà corrotta e consumistica, emblema del capitalismo sfrenato.
L’ultima volta che ho trascorso qualche ora con Umberto – durante una cena, seguita ad una kermesse che ho presentato, e dove era l’ospite d’onore – ha deliziato me e altri 4 fortunati, con alcune battute proprio su Berlusconi, divertenti e mai volgari.
Ero pienamente in sintonia con l’idea che aveva dei social network:
“Ai tempi di Hitler se ci fosse stato internet non avrebbe potuto esserci lo sterminio, questo lo riconosco,
– l’antisemitismo: la forma più forte per la costruzione di un nemico –
ma il fenomeno Twitter ha anche una natura onanistica,
e dà diritto di parola a legioni di imbecilli, gli stessi che quando compaiono su uno schermo, diventano autorità”.
Il rapporto con Bompiani iniziò con un litigio, la cosa divertì molto l’editore,
forse per questo, Bompiani lo richiamò: il conformismo è l’osservanza dei modelli,
chi fa arte devia dalle regole per inventarne delle nuove.
Mi illuminò sul fatto che, per quanti libri uno scrittore possa pubblicare, quello che il lettore ricorda, è sempre il primo.
Accennò qualcosa sulla fatica di scrivere,
sul fatto che un romanzo debba nascere con la sega, la pialla e il martello,
era certo che il bravo narratore fosse obbligato a porsi molte costrizioni nel suo laboratorio: “Se non c’è un ostacolo da superare, non si può inventare niente”.
Scrivere vuol dire lavorare, mi disse, creare delle impalcature.
E quanto corpo avevano i suoi personaggi: la loro volontà veniva sempre a galla.
Aveva un animo umile, senza alterigia,
era un intellettuale laico mai chiuso nella sua torre d’avorio.
Umberto CIAO!
Grazie per quello che hai fatto!
Ti auguro di avere sempre “una buona inchiostrazione”
quella che, piaceva tanto a te.