Tanto per cominciare,
sappiate che di Calcio non so un granché.
So che Maradona era meglio di Pelé (di sicuro, lo era nella canzoncina che sentivo cantare con fierezza, da bambina, nei vicoli di Napoli, dopo le migliori partite);
so che si usa l’espressione “Zona Cesarini”, dal nome del calciatore oriundo Renato Cesarini (autore di diversi gol, nella determinante fase finale di alcuni eventi calcistici) per indicare metaforicamente, la realizzazione di un fatto in extremis;
so che Cannavaro senior, capitano dell’Italia campione del mondo nel 2006, durante il giro fatto per i tifosi con la squadra, a Roma, a Piazza Venezia, era quasi più imponente e bello dell’Altare della Patria;
so che se si gioca con una divisa di colori diversi dalla propria, vuol dire che si è a casa di avversari, che indossano una divisa con colori simili. So che alcuni calciatori, dopo un gol si tolgono la maglia (cosa che peraltro mi pare, li penalizzi), mentre, ad esempio, un neurochirurgo che opera un bambino, di norma, non si toglie il camice urlando sguaiatamente, alla fine dell’ intervento ben riuscito;
questo, dovrebbe farci riflettere,
considerato che i giocatori fanno solo il loro mestiere.
So che esistono i falli, quando a fare da padrona c’è la scorrettezza, come nella vita.
So che l’ Inno di Mameli, canto patriottico degli italiani, con quella mano sul petto, mi fa venire i brividi, anche quando sono degli uomini muscolosi in calzoncini a cantarlo.
So questo e poco altro: fortuna vuole, che essendo in un paese democratico, posso comunque farvi conoscere la mia opinione.
Il Napoli, due giorni fa, notizia vecchia ormai, ha perso con il Chelsea.
La velina che, solitamente mi abita solo durante i rigori ai mondiali, l’altra sera, ha deciso inaspettatamente di farmi visita. Ero a cena e al ristorante, sentivo in lontananza echeggiare da un televisore, la voce concitata del cronista dell’incontro.
Tornata a casa, ho guardato ciò che restava della partita: mi son trovata su un dondolo di riflessioni;
cos’è che stava contribuendo al fatto che il Napoli stesse perdendo la partita?
Ma cosa ne potevo sapere io? Di nuovo, mi osteggiava una scarsa conoscenza.
Quel che sapevo, ancora, quel che ho visto, è stata una squadra che ha sottovalutato giocatori validi come quel tale li, quello che sembra uscito da un romanzo russo, Ivanovic, che, indisturbato ha segnato il gol che, a sua volta ha segnato il tonfo del Napoli quella sera;
altro che: ” Non è stata una sconfitta”
signor Aurelio De Laurentis, mi scusi se mi permetto, allora, cosa è stato, un trionfo?
Ho visto, bene, lo spirito di sacrificio di Cavani, e il buon gioco di Maggio e Gargano, ma mi tornano in mente le parole di mio padre, dopo aver saputo di un trenta, voto d’esame universitario: ” Brava,
pero’ non c’è la lode”
Ho visto le opportunità sfumare.
Ho intravisto l’ego o, solo l’impulsività, di un uomo sul campo, non ricordo chi fosse: ha provato un azzardo, un gol difficile, non passando la palla (sarà’ per questo che una squadra è composta da 11 calciatori e non da uno?)
occasione persa.
Ho visto Inler segnare, non è bastato, ma è stato uno degli ultimi a mollare sullo scivoloso campo da gioco di Stamford Bridge.
Ho visto Dossena, stoppare (è questo il termine che usano quelli che di calcio se ne intendono) di mano in area su un colpo di testa, errore da inesperti, o da campioni emozionati. Un campione non dovrebbe lasciarsi influenzare dalle emozioni, le emozioni giocano brutti scherzi, eppure, le emozioni ci rendono umani, proprio campeggiando dentro di noi, facendosi sentire.
Mancava il guizzo, rumoreggiava l’emozione.
Forse è questo, il motivo per cui, non è da tutti essere un campione?
All rights reserved Alessia Luongo Di Giacomo